L’attività fisica è importante
- non solo perché riduce o può ridurre la massa grassa,
- ma perché va a ridurre tanti altri fattori di rischio collegati in maniera più o meno diretta con l’obesità.
Dobbiamo quindi modificare la mentalità delle persone,
facendole diventare
- interessate alla funzione e alla salute
- e non solo all’estetica.
Fino a che le persone saranno interessate solamente all’estetica, l’attività fisica sarà messa in alternativa alla dieta o a farmaci che possono ridurre il soprappeso.
Invece l’attività fisica deve essere intesa come un processo per ottenere la salute.
Parleremo brevemente:
- delle conoscenze mediche in merito all’attività fisica, quindi di quello che si sa dell’attività fisica nelle varie patologie.
- Vedremo poi il ruolo del medico e del trainer. Questa è la sfida che stiamo vivendo in questo momento. Parlando di attività fisica nelle patologie dobbiamo iniziare a pensare al lavoro di team, dove persone dell’area medica collaborano con persone dell’area dell’attività fisica, (cioè) con i laureati e con i diplomati in Scienze Motorie, quindi con le persone che si devono occupare della gestione del programma di allenamento e del supporto al paziente che arriva a fare attività fisica.
- Infine vedremo quali possono essere attualmente le tecnologie e le metodiche in mano al trainer, quindi vedremo quello che può essere fatto dal trainer per poter erogare un servizio supportato da mezzi tecnologici.
- Conoscenze mediche in merito all’attività fisica
Probabilmente il documento più attuale è rappresentato in questo momento dal risultato della conferenza tenuta nel 2001 in Canada, cui hanno partecipato i maggiori clinici esperti di attività fisica ed epidemiologici che hanno condotto ricerche nell’ambito dell’attività fisica negli ultimi 20 anni.
I capitoli che sono stati pubblicati in questo report relativo all’attività fisica sono quelli relativi all’obesità, al diabete, alle cardiopatie, all’osteoporosi, al cancro del colon, al cancro del seno, alla senilità (quindi all’atrofia muscolare e alla perdita di indipendenza nell’età senile), alle dislipidemie e alla depressione.
Tutti questi capitoli denotano che l’attività fisica è fortemente correlata alla riduzione di insorgenza e alla riduzione di incidenza di queste patologie.
Quindi fare attività fisica fa bene per prevenire e per mantenere entro limiti controllati queste patologie.
Il problema è la dose ideale di attività fisica per ognuna di queste patologie.
Questo ancora non si sa con precisione. Questo è un dato molto difficile da ottenere, perché la maggior parte degli studi che sono stati analizzati per fare questa meta-analisi che ci ha portato ad individuare le patologie più sensibili all’attività fisica sono larghi studi randomizzati su base epidemiologica, non sono studi clinici, cioè studi che hanno potuto comparare un protocollo con un altro protocollo. Quindi il campo attivo di ricerca in questo momento è la dose minima di attività fisica per ridurre l’incidenza o per migliorare una patologia qualora sia già insorta.
Quindi:
1) il ruolo dell’attività fisica è quello di fungere da prevenzione primaria.
Per “prevenzione primaria” si intende quella serie di azioni e di comportamenti che fanno sì che una patologia non insorga. (Ad esempio) se faccio fare ad un bambino attività fisica, ne curo l’alimentazione, etc., non insorgerà in questo bambino la patologia dell’obesità.
2) Per “prevenzione secondaria” si intende far sì che la patologia non si complichi.
Se ho un paziente obeso e lo metto a fare attività fisica, probabilmente eviterò delle complicanze a questa situazione patologica.
Le complicanze più naturali dell’obesità possono essere: il diabete, per esempio. Se guardiamo le mappe epidemiologiche di diffusione dell’obesità, ci accorgiamo che a 5 anni queste mappe hanno lo stesso andamento del diabete. Quindi il diabete di tipo 2 segue a ruota lo sviluppo dell’obesità.
Anche le malattie cardiovascolari sono collegate al sovrappeso e alla sedentarietà. Quindi possiamo ridurre l’incidenza di quelle malattie attuando una strategia di attività fisica anche nel paziente in soprappeso.
3) L’attività fisica è in grado di aumentare la capacità funzionale residua. Nel cardiopatico ci può essere una ridotta funzione di pompa come esito di un infarto: ma l’attività fisica è in grado di migliorare la capacità funzionale residua che è rimasta dopo l’evento e quindi può migliorare la qualità di vita del paziente.
In questi tre punti che ho illustrato si riassume il ruolo dell’attività fisica.
L’attività fisica ha quindi il ruolo di farmaco con effetti collaterali positivi. Mentre ogni principio attivo della farmacologia ha di solito ha una lunga lista di effetti collaterali negativi, l’attività fisica ha una serie di effetti collaterali positivi.
Ad esempio, se consideriamo l’osteoporosi, l’attività fisica deve essere mirata ad un aumento della forza muscolare, perché un aumento della forza e quindi della tensione muscolare permette una migliore mineralizzazione dell’osso e il mantenimento di una struttura trabecolare nell’osso: quindi previene l’insorgenza e l’aggravarsi dell’osteoporosi. Però, facendo un allenamento della forza, ottengo un’altra serie di cose. Ottengo un aumento del mio dispendio calorico, quindi favorisco la diminuzione del peso; aumento l’endurance cardio-vascolare, quindi divento più resistente da un punto di vista generale, organico; diminuisco la pressione arteriosa (anche le attività contro resistenza, purchè non siano massimali, purchè non siano fatte in isometria esasperata, tendono a ridurre la pressione arteriosa sisto-diastolica; diminuisco il colesterolo, soprattutto quello cattivo (LDL) ed aumento quello buono (HDL); poi ho un effetto positivo su fenomeni legati all’umore, quindi alla psicologia, alla sensazione della propria efficacia e all’autostima della persona.
Ad esempio, se parlo di diabete, l’obiettivo principale è la diminuzione è la diminuzione del peso, ma ottengo anche un miglioramento dell’endurance cardio-vascolare.
E potremmo dire cose analoghe per ognuna delle patologie.
Quindi gli effetti dell’attività fisica sono implicati tra di loro e vanno a cogliere i fattori predisponesti o i sintomi di varie patologie.
Perciò l’attività fisica fa bene.
Ma ancora stiamo studiando la dose ideale per ognuna delle patologie. La prescrizione non è assolutamente precisa.
2) Una coppia importantissima per i programmi rivolti alla salute pubblica: il medico e il trainer.
Noi e voi.
Che cosa devono fare gli uni e che cosa devono fare gli altri.
Che cosa deve fare il medico? Che cosa dovete aspettarvi da noi?
- Dovete aspettarvi anzitutto che siamo in grado di individuare le controindicazioni assolute all’attività fisica. Cioè dobbiamo dirvi se una persona non è assolutamente in grado o se è fortemente a rischio nel fare attività fisica.
- In secondo luogo qual è il livello limite di intensità dell’esercizio. Ammesso che non ci siano controindicazioni assolute, non è detto che la persona sia idonea ad ogni tipo di attività fisica. In Italia siamo stati un po’ allevati nell’ottica del certificato di buona salute e del certificato di attività agonistica, che erano certificati che dicevano “sì” o “no”, cioè che “si può fare” oppure che “non si può fare”. Dobbiamo invece andare verso un tipo di certificazione che dica “quanta ne puoi fare” e “quanta ne devi fare”, quindi un tipo di autorizzazione scalare del medico verso il trainer e che dica al trainer quali sono i limiti entro cui fare l’attività fisica. Altrimenti cade tutto il discorso che questa mattina stiamo facendo: ad esempio un cardiopatico non potrebbe fare attività fisica secondo la vecchia concezione dell’idoneità o meno all’esercizio; invece il cardiopatico deve farla, ma rispettando certi limiti. Idem per il diabetico. Idem per l’osteoporotico. Sui limiti dobbiamo andare a puntare la nostra attenzione. Il medico deve segnalare al trainer eventuali aree di rischio (quelle in cui deve essere maggiormente accorto) e consigliare eventuali modalità d’esercizio nel caso in cui il medico si intenda abbastanza di attività fisica. Per quanto riguarda quindi i parametri dell’esercizio fisico, il medico dovrà dire al trainer a quale frequenza cardiaca può allenare una persona, a quanti watt, a quale velocità, quindi dovrà dirgli i parametri di carico interno e di carico esterno, quali sono i limiti o le restrizioni di un allenamento di forza. Per esempio se una persona ha una forte ipertensione, dovrò cercare di mantenere la forza limitata ad esercizi ampiamente sottomassimali, che non abbiano contrazioni intense e che non coinvolgano grossi distretti muscolari tutti in una volta. Quindi, per andare in termini molto pratici, potrò preferire un esercizio di estensione dell’arto inferiore rispetto ad un esercizio di squat dove ho un distretto muscolare molto più ampio, che potrebbe provocare rialzi pressori molto più elevati. Facciamo qualche esempio. Che cosa dovrebbe dire il medico a voi, al trainer? Potrebbe parlare di precedenti traumi. Potrebbe descrivere i farmaci assunti dal paziente, perché – un esempio che facciamo sempre -, se il paziente prende beta-bloccanti, la frequenza cardiaca non è più un parametro attendibile dell’intensità dello sforzo.
Che cosa deve fare il trainer?
- Deve individuare le modalità di esercizio preferite dal soggetto. Troppo spesso i trainer sono specialisti di una sola metodica di esercizio. Se sanno fare lo spinnig, fanno lo spinning e basta. Se sanno fare i pesi, fanno i pesi e basta. Non sono persone in grado di gestire diverse metodiche d’esercizio in funzione delle cose che piacciono di più al paziente-cliente, quindi al soggetto. Perché ho messo questo al primo posto? Perché l’attività fisica viene praticata nel tempo libero: il soggetto, se non gradisce il modo in cui l’attività fisica gli viene proposta, tenderà ad eliminarla, tenderà a tornare sedentario. Quindi il punto di vista psicologico è, a mio avviso, il numero uno.
- Il secondo punto è individuare volume ed intensità ideali, in base alle qualità funzionali del soggetto e ai limiti clinici. Ecco quindi che dovete connettere le vostre competenze nella metodologia dell’allenamento con i limiti dati dal medico.
- Supportare il cliente nell’apprendimento degli esercizi (questo penso che sia scontato)
- Fornire feed-back al medico curante. Da più di 10 anni faccio corsi ad istruttori, a personal trainer, a diplomati ISEF. Tutti si lamentano dell’inesistenza del rapporto tra il trainer e il medico, ma molto pochi si preoccupano di dare un feed-back al medico su come sta andando il suo paziente. Quindi penso che un dialogo debba essere aperto a tutte e due le parti. Che cosa deve dire il trainer al medico? Deve dirgli, sulla base dei parametri della base dell’attività fisica, i MET ai quali si sta allenando la persona. (*) d.r. MET: La spesa energetica assoluta durante l’esecuzione di un’attività può essere espressa in kcal/min oppure in kal/ora oppure in MET, cioè in equivalenti metabolici. Un MET equivale al consumo di energia a riposo ed è pari a 3,6 ml O2 x kg -1 x min. L’attività di qualsiasi attività può essere espressa come rapporto tra il suo costo energetico ed il consumo energetico a riposo, per convenzione pari ad un MET. Tenendo conto che un litro di ossigeno equivale a circa 5 kcal, camminare alla velocità di 3-5 Km/h “costa” 180-300 kcal/h, pari a 2-4 MET (cioè sul piano energetico si consuma da 2 a 4 volte quello che si consuma a riposo). L’attività fisica lieve (cammino lento, cyclette, golf, pesca, bowling e lavori leggeri di pulizia) costa meno di 3 MET (cioè meno di 4 kcal/min). L’attività fisica moderata (quella che può essere effettuata anche per un’ora senza che insorga fatica eccessiva, tipo cammino veloce, bicicletta su piano, tennis tavolo, canottaggio lento, pulizie più pesanti) costa 3-6 MET (4-7 kcal/min). L’attività intensa (quella che determina la comparsa della fatica entro 20’, come nel cammino in salita o con pesi, bicicletta veloce, tennis, canottaggio veloce, spostare mobili) costa più 6 MET (cioè più di 7 kcal/min). Altri esempi: 5-6 MET (circa 300-360 kcal/h) corrispondono ad attività come camminare a 6 Km/h, pedalare a 13 Km/h, compiere una ginnastica ritmica leggera, nuotare (restare a galla); l’intensità di 7-8 MET (420-480 kcal/h) corrisponde a camminare-correre a 6-8 Km/h, nuotare, pedalare a 18-19 Km/h, giocare a tennis (non agonistico). Quindi il trainer deve riferire al medico a che intensità riesce ad allenare la persona, quante sono le calorie spese nell’ambito di una sessione di allenamento, quali sono le ipotonie e i disequilibri muscolari che ha notato, quali sono le tensioni muscolari che si verificano in questa persona. Il trainer può esprimere eventuali dubbi e chiedere eventuali approfondimenti sulle patologie di cui questo soggetto è portatore, sulla nutrizione (perché non siete nutrizionisti) e su ulteriori medicamenti. Questo potrebbe essere, in sintesi, il dialogo dal trainer verso il medico.
Abbiamo detto che il programma di allenamento va costruito in modo da scegliere adeguatamente l’intensità voluta.
VALUTAZIONE DEL LIVELLO DI FITNESS
Vediamo le qualità funzionali da valutare.
Sono:
- la potenza aerobica
- la forza massima
- la composizione corporea
- la flessibilità
(Sicuramente queste cose le avete fatte e rifatte all’ISEF. Le ho solo rimesse insieme per avere le idee chiare).
Perché bisogna fare la valutazione funzionale del soggetto?
- Anzitutto per avere dati su cui elaborare il programma di allenamento. Se leggo in una ricerca che l’esercizio fisico deve essere fatto al 50% della forza massimale, se non conosco la forza massimale non so a che cosa applicare questa percentuale.
- Per avere un’idea precisa sui livelli di condizione fisica del soggetto.
- Per valutare i progressi del soggetto nel tempo.
Quando effettuare queste prove di valutazione funzionale?
- Non subito. Aspettiamo che il soggetto abbia acquisito un minimo di dimestichezza con l’esecuzione degli esercizi.
- Quando il soggetto ha compreso lo scopo della valutazione. Il soggetto deve capire che non viene messo sotto esame, ma che quello che fa serve per fare un migliore programma di allenamento.
- Quando il soggetto viene con regolarità a praticare l’esercizio fisico.
Parametri da valutare:
- Potenza aerobica: V’O2 Max (oppure, ma non è il caso per i soggetti di cui stiamo parlando questa mattina, valutazione della soglia anaerobica). Dobbiamo capire che tipologia di soggetti abbiamo davanti, attraverso l’esame di questa V’O2 Un soggetto ai limiti dell’autosufficienza può avere la massima potenza aerobica di 24 ml di O2, che è la V’O2 Max che serve ad attraversare la strada senza andare in soglia anaerobica; un soggetto che invece corre una mezza maratona in un’ora e 10’ è un soggetto che molto probabilmente avrà una V’O2 Max di 70 ml. Come andiamo ad analizzare la V’O2 Max? O con test massimali (da lasciare all’ambito medico) oppure metodiche più semplici basate sul concetto di linearità tra frequenza cardiaca, consumo d’ossigeno e carico. Noi sappiamo che, se sottoponiamo il soggetto a due carichi massimali (n.d.r.: voleva dire sub-massimali), possiamo poi estrapolare in alto la V’O2 Max alla massima frequenza cardiaca teorica. Se alleniamo il soggetto, a parità di frequenza cardiaca la persona allenata correrà più forte, cioè riuscirà una maggior quantità di lavoro meccanico.
- Forza. Quali considerazioni fare? Consiglio di selezionare gli esercizi in catena cinetica chiusa: quindi esercizi in spinta o in trazione, non esercizi monoarticolari, perché sono più funzionali, danno un’analisi più precisa della forza funzionale del soggetto e proteggono maggiormente le articolazioni. Selezionare esercizi adatti ad eventuali limiti articolari del soggetto. Se una persona non ha un buon controllo del proprio corpo, non le faccio fare esercizi che richiedono una particolare difficoltà esecutiva. Quindi scegliere esercizi molto semplici in catena cinetica chiusa. Preferire la valutazione indiretta, perché il soggetto alle prime armi non ha fattori neuro-muscolari della forza che gli permettono di gestire carichi adeguatamente elevati. Quindi se faccio una valutazione massimale con il metodo del massimale diretto ad una persona sedentaria, molto probabilmente andrò a sottostimare la forza vera del soggetto. Quindi i test valutativi possono essere: il metodo massimale diretto o il metodo indiretto delle massime ripetute (contando il numero di ripetizioni che mi portano in esaurimento posso predire il massimale che può essere effettuato dalla persona). La routine per analizzare la forza massimale può essere in sintesi costruita su 3 esercizi-base: un esercizio di spinta per gli arti superiori, la trazione sul piano frontale per gli arti superiori e un esercizio di spinta globale per gli arti inferiori. Con questi 3 esercizi riesco a valutare più o meno globalmente le maggiori catene cinetiche del soggetto con esercizi che più o meno si ripropongono nella vita di tutti i giorni, perché per una persona decondizionata alzarsi da una sedia è un esercizio di squat, salire uno scalino è un esercizio di squat; oppure spingere qualcosa o tirar giù qualcosa è comunque un esercizio simile a quelli con cui va testata la persona.
- Valutazione della composizione corporea. Ci sono diverse metodiche. Vediamole velocemente. Il peso ideale attraverso la formula di Lorensodibrogman (ha detto così, ma come si scrive?). L’indice di massa corporea attraverso peso/h2 . La percentuale di massa grassa calcolata con la plicometria attraverso la tecnica del Jackson Fallow (?) e delle tre pliche, ma soprattutto mi soffermerei sul rapporto vita-fianchi. Non è tanto importante la percentuale di massa grassa, quanto la distribuzione dell’adiposità. Sappiamo ormai che una disposizione intra-viscerale del grasso è più fortemente predisponente sia all’insorgenza del diabete del tipo 2, sia alle malattie cardio-vascolari. Ecco quindi che, secondo le ultime linee guida dell’American College (?) Sport Medicine, deve essere considerata la circonferenza addominale. Quindi dobbiamo capire se la circonferenza addominale supera i 102 cm nel maschio e gli 88 cm nella donna (con un … ha detto “diamai” superiore a 25), allora il soprappeso è un chiaro fattore predisponente per diabete e malattie cardio-vascolari. Ecco quindi che l’esame della composizione corporea può essere ridotto in maniera molto semplice ad una semplice verifica della circonferenza addominale.
- Valutazione della flessibilità. E’ una valutazione importante, ma spesso negletta. Andando verso popolazioni sedentarie, sempre di più dobbiamo prendere in considerazione la flessibilità e la struttura della muscolatura. I fattori che influenzano la flessibilità sono la forma dell’articolazione, l’elasticità dei muscoli e dei tendini, il sesso (nel senso che le donne sono di solito più flessibili degli uomini), il livello di attività e il riscaldamento da fare prima dell’esercizio. Ma quello che dobbiamo valutare non è tanto la flessibilità di un singolo distretto articolare quanto la postura, perché la postura dipende soprattutto da alterazioni delle strutture muscolari e connettivali, strutture che vengono viziate dal mantenimento di atteggiamenti sedentari. Ecco quindi che nella persona sedentaria molto spesso andiamo incontro ad una postura con retroversione del bacino con un accorciamento degli ischio-surali ed un aumento della cifosi a livello dorsale per un atteggiamento incurvato che le persone hanno spesso nel loro posto di lavoro: e questo si accompagna spesso ad un sovraccarico a livello del tratto lombare e ad un’anteposizione dell’articolazione della spalla. Questi sono fattori predisponesti per eventuali degenerazioni osteo-articolari. Nella valutazione della flessibilità si devono quindi analizzare i distretti muscolari ipotonici e quelli accorciati per poter agire di conseguenza, ristabilendo la postura corretta.
- Le tecnologie che avete in mano attualmente
Negli attrezzi che cosa bisogna ricercare?
- Il fatto che siano facili nell’uso.
- Siano possibilmente di design moderno e sicuro .
- Permettano movimenti naturali e comfort.
Questo vi viene offerto attualmente dalle tecnologie.
Per quanto riguarda la funzionalità,
gli attrezzi possono fornirvi la possibilità di allenarvi a frequenza cardiaca costante: quindi la macchina regolerà l’intensità in modo tale da mantenere costante la frequenza cardiaca.
Possono essere predisposte per poter svolgere test di valutazione della capacità aerobica con metodiche di valutazione sottomassimali.
Possono essere interfacciabili a sistemi di software per l’acquisizione di dati.
Oppure possono essere compatibili con elettrocardiografi metabografi per avere test da sforzo completi.
Per quanto riguarda il disegno della CAM (?), degli attrezzi isotonici e degli attrezzi di forza, stiamo lavorando per far sì che le CAM rispettino veramente la forza esercitata dai vari distretti muscolari. E, per ottenere questo, analizziamo il disegno delle CAM attraverso attrezzature isocinetiche, che permettono di analizzare la forza svolta dai vari gruppi muscolari durante l’esercizio …
… un attrezzo che deve essere usato da una persona decondizionata deve essere un attrezzo sicuro, facile da usare e molto corretto da un punto di vista biomeccanico.