A tutti gli effetti l’obesità è il risultato di un bilancio energetico che si mantiene per troppo tempo positivo, tra l’energia che si introduce con l’alimentazione e quella che si consuma con l’attività. La semplicità della descrizione non corrisponde tuttavia a una semplicità dei processi che sottendono questo equilibrio, che dipende invece da parecchi fattori interni ed esterni all’organismo.
E’ questa la tendenza attuale di tutti coloro che si occupano di obesità, che non sono di certo solo dietologi, ma anche chirurghi, psicologi, psichiatri, neurobiologi e endocrinologi, figure professionali che corrispondono ai tanti aspetti di un problema che oggi viene definito una vera e propria malattia. Anzi, per meglio dire, proprio in virtù di tale complessità non si fa riferimento all’obesità, ma alle obesità.
Segnali di fame e sazietà
Dal lavoro di questi esperti nasce la sesta edizione del Rapporto sull’obesità in Italia, il cui focus è questa volta dedicato al ruolo del cervello e della sua neurobiologia. Il presupposto, scientificamente documentato, è una continua comunicazione, mediata da neurotrasmettitori e ormoni, tra il sistema nervoso centrale e la periferia. Dove la periferia sono il tessuto adiposo (vagamente distribuito) e il tratto gastro-intestinale che inviano segnali di fame-sazietà elaborati poi nell’ipotalamo, integrati con aree cerebrali superiori e trasformati in risposte che mantengono l’equilibrio omeostatico nei soggetti sani. I segnali sono molecole che, immesse nel circolo sanguigno, raggiungono organi bersaglio, una proprietà che è stata attribuita anche al tessuto adiposo, precedentemente considerato solo un tessuto. Invece, al pari di una ghiandola endrocrina, gli adipociti (cellule del tessuto adiposo) oltre a contenere trigliceridi, producono e liberano, in modo controllato, sostanze chiamate genericamente adipochine. La regolazione di questa funzione dipende dalla variazione della massa adiposa e da stimoli di ormoni ipofisari o gastrointestinali, di neurotrasmettitori, di neurormoni. Una di queste sostanze è la leptina che veicola messaggi nell’ambito del controllo della sazietà: agisce su alcuni neuroni dell’ipotalamo determinando una risposta catabolica, cioè di riduzione dell’introito di calorie e un aumento del dispendio energetico. Un effetto che viene chiamato anoressizzante. I segnali di sazietà nel breve termine dell’appetito dipendono da sostanze prodotte dall’apparato gatro-intestinale durante il pasto. Lo stomaco produce la ghrelina, che ha un effetto oressizzante (stimola l’assunzione del cibo), i suoi livelli aumentano prima del pasto e diminuiscono subito dopo. A livello dell’ipotalamo attiva la via anabolica, cioè stimolando l’aumento dell’introito di alimenti e riducendo il consumo di energia. Queste numerose interazioni regolano e determinano il comportamento alimentare ma a esse si sommano gli affetti dell’ambiente, cioè le abitudini alimentari e culturali in cui si vive che spiegano per il 65% il bilancio energetico. Il restante 35% è invece dovuto ai fattori genetici, vale a dire le informazioni genetiche che producono tutte le sostanze che hanno un ruolo nei suddetti meccanismi di regolazione.
Mutazioni che ingrassano
Ma questo significa anche che questi circuiti possono subire alterazioni a vari livelli, perchè una semplice mutazione o anche un polimorfismo possono generare una variazione, che modifica un circuito sbilanciando l’equilibrio energetico. Nel peggiore dei casi si manifesta la patologia, infatti i casi di obesità grave hanno una componente genetica preponderante. Un esempio è dato dalla modifica strutturale del recettore 4 della melanocortina, uno dei tanti fattori anoressizzanti. I portatori di tale mutazione sono meno sensibili al segnale anoressizzante con conseguente quadro clinico di obesità; una circostanza che, per altro, spiega il 6% delle obesità infantili. Di recente è stato anche dimostrato che i 3% dei pazienti obesi e iperfagici hanno un difetto del recettore della leptina; casi più gravi sono invece associati a una carenza della produzione della leptina stessa.
Di estremo interesse sono le recenti osservazioni raccolte grazie al neuroimaging funzionale (con PET o con risonanza magnetica) secondo le quali, negli obesi la corteccia prefrontale è maggiormente attivata in relazione al consumo del cibo e alla regolazione della sazietà. Come se la soppressione degli stimoli che inducono al consumo richieda in questi casi una maggiore attività. Il confine tra obesità e disturbi del comportamento alimentare è molto labile e spesso risultati e indagini di sovrappongono, ferma restando la difficoltà di dipanare l’intreccio tra genetica, neuroendocrinologia e psicologia.
Articolo redatto da
Prof. Diego Sarto
Direttore scientifico.
Docente di posturologia e chinesiologia applicata UNIVERSITA’ DI PADOVA